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Aborto pluridecennale e anomalie di sviluppo fetale: casi clinici eccezionali

Aborto pluridecennale e anomalie di sviluppo fetale: casi clinici eccezionali

Dalla Cina due storie che hanno fatto il giro del mondo: aborti e anomalie di sviluppo contro ogni legge della medicina.

Capita che alcuni casi clinici appaiano agli occhi dei più come incredibili e che persino la medicina - in ragione del fatto che è assodato e condiviso che non si tratti di una scienza esatta – ne resti stupita e, talvolta, che abbia persino difficoltà a spiegarsene le ragioni.

È successo di recente con due casi singolari – entrambi “made in China” – che in poco tempo hanno fatto il giro del mondo.

Il primo ha per protagonista un’anziana donna, Huang Yi Jun la quale, a causa di un’interruzione di gravidanza diagnosticatele all’età di trent’anni a seguito di complicazioni, ha rifiutato l’operazione di esportazione del feto e ha tenuto in grembo il figlio senza vita per oltre sei decenni.

La motivazione è primariamente economica. L’intervento di routine, infatti, sarebbe costato circa 100 sterline. Troppo denaro per la donna che, probabilmente ignara dei rischi, decide di tenere il Feto confidando in un’espulsione spontanea, in realtà mai avvenuta, e mantenendo l’aspetto di gestante.

Peraltro, solo di recente, un’Ecografia effettuata per investigare su un disturbo addominale accusato dalla donna ha confermato la conservazione, in perfette condizioni, del Feto privo di vita.

Secondo le “leggi” della medicina, una condizione simile avrebbe lasciato ben poche possibilità di sopravvivenza alla donna, eppure Huang Yi Jun, oggi novantenne, gode ancora di ottima salute.

Protagonista del secondo caso, invece, è Kang Mengru, la cinese di appena un anno balzata agli onori della cronaca come “la bambina col pancione”.

Kang Mengru rappresenta un rarissimo caso che i medici definiscono ‘gemelli parassiti’ (in gergo medico 'fetus in fetu'): la bambina, infatti, porta in grembo il feto della sorella gemella.

Un caso, questo, molto simile a quello di un uomo indiano - e all’incirca di altri novanta precedenti registrati - che per 36 anni ha “convissuto”, ignaro, con il feto del proprio gemello.

Ultimo aggiornamento: 01 Giugno 2015
2 minuti di lettura
Commento del medico
Dr. Francesco Guida
Dr. Francesco Guida
Specialista in Ginecologia e ostetricia

I° Caso:

Non vi è dubbio che ci troviamo di fronte ad un caso eccezionale. L’aborto spontaneo si può definire come morte in utero dell’embrione o del feto prima dell’epoca di gravidanza compatibile con la nascita di un feto vitale.

In genere tale evenienza è preceduta, accompagnata o seguita in breve tempo (da poche ore ad alcuni giorni) da sintomi quali perdite ematiche e/o comparsa di contrazioni.

Talvolta tali sintomi tardano a comparire ed in tal caso si parla di aborto ritenuto (in inglese “missed miscarriage”, "missed abortion” o “silent miscarriage”). Qualora la morte del feto si verifichi in un’epoca compatibile con la sopravvivenza dello stesso, si parla più propriamente di morte endouterina del feto. Anche quest’ultima è in genere seguita in breve da sintomi quali la comparsa di contrazioni e/o perdite ematiche.

La ritenzione prolungata del feto in utero è un’evenienza nota, sebbene rara, e richiede l’intervento farmacologico per indurre il travaglio e favorire così l’espulsione, scongiurando complicanze quali l’embolia amniotica, i processi infettivi e la sindrome da feto morto (Dead Fetus Syndrome).

Quest’ultima, caratterizzata da ipofibrinogenemia e occasionalmente Coagulazione Intravascolare Disseminata (CID), generalmente si verifica quando la ritenzione supera le 4 settimane.

Nel 1930 è stato pubblicato un caso di ritenzione in una donna Kurda per una durata superiore a 2 anni (26 mesi). Un altro caso del tutto analogo a quello recente è stato segnalato nel 2005 nell’isola di Java, in una donna indonesiana di 54 anni, tale Taminah, che aveva ritenuto un feto morto di 1,6 kg per 27 anni (1978). La donna, anche in questo caso, non aveva potuto affrontare l’intervento per ragioni economiche. Pare tuttavia che il caso verificatosi in Cina stabilisca un nuovo record.

Al di la delle possibili spiegazioni scientifiche di tali eccezionali episodi e delle considerazioni relative alla probabilità che una complicanza possa verificarsi o meno, ciò che mi incuriosisce sono le possibili ipotesi sui meccanismi psicologici che queste donne hanno messo in atto per gestire la loro singolare esperienza, considerando che in condizioni normali la ritenzione di un feto morto in utero, anche solo per alcuni giorni, può avere pesanti effetti psicologici sulla gestante.

Di sicuro gli aspetti di ordine culturale e religioso avranno avuto un ruolo importante, se si considera che in tutti i casi citati si trattava di donne asiatiche e di basso ceto sociale.

Dal punto di vista clinico comunque questi casi non devono costituire un esempio, dal momento che un approccio attendistico di fronte alla morte fetale in utero può, entro certi limiti, essere giustificato solo se si ha la certezza che l’evento si sia verificato di recente.

Negli altri casi è preferibile optare per un intervento tempestivo, onde scongiurare il possibile verificarsi di gravi complicanze.

 

II° Caso:

Il “fetus in fetu” può essere considerato un’anomalia di sviluppo caratterizzata da una massa “fetiforme” calcificata di tessuto anche definita come tumore peduncolato vertebrato.

La somiglianza di tale massa con un feto può essere più o meno marcata.

Vi sono due ipotesi sulla genesi di tale fenomeno: una sostiene che durante lo sviluppo embrionale, quando l’embrione è costituito da un ammasso di cellule totipotenti, vi sia, nella genesi di una gravidanza gemellare, un difetto nella separazione dell’unico embrione in due metà distinte destinate a proseguire nel loro autonomo sviluppo, per cui una metà verrebbe inclusa nell’altra, determinando la formazione di questa anomalia.

L’altra ipotesi invece suppone che la massa sia in realtà un teratoma con un elevato livello di sviluppo.

Se consideriamo che esistono numerose anomalie nella genesi delle gravidanze gemellari, come i gemelli uniti per la testa (craniopagi) o quelli uniti per il torace (toracopagi) o per la schiena (ischiopagi), oppure le mostruosità come i feti con due corpi ed una testa (sincefali) o con un corpo dotato di due teste (dicefali), non deve meravigliare un’evenienza come quella descritta nel caso in questione.

Tuttavia vale la pena sottolineare che talvolta l’enfasi giornalistica nuoce all’obiettività scientifica, deformando la realtà.

Nell’articolo pubblicato si parla di aumento di volume della pancia della bambina, facendo poi pensare ad un feto vivo che si sviluppa e cresce nel suo addome, mentre sarebbe più corretto pensare ad una massa di tessuti di diverso tipo, più o meno organizzati in strutture ed organi del tutto simili a quelli di un normale individuo (ossa, capelli, ecc…).

Un esempio analogo lo si trova a livello ovarico, nei cosiddetti teratomi o dermoidi, cisti che non è infrequente contengano oltre a sebo e capelli, anche denti e frammenti cartilaginei o cutanei.

Ciò può avvenire in quanto le cellule embrionali sono totipotenti, hanno cioè la capacità di differenziarsi in maniera diversa, specializzandosi secondo moltplici linee e dando luogo alla formazione dei vari tessuti ed organi.

Dire cha la bambina cinese era affetta da un raro tipo di tumore benigno la cui peculiarità è quella di assomigliare in misura variabile ad un feto, sarebbe stato sicuramente di minore impatto mediatico, ma probabilmente più corretto.

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