Parlare di malattia vascolare induce immediatamente due grandi categorie di idee. Sul versante del fenomeno globale, intendiamo tutto ciò che vede coinvolto il vaso arterioso e venoso come oggetto di un insulto: il fatto che si occluda, impedendo il passaggio di sangue a valle dell’ostruzione (ischemia), il fatto che si rompa (emorragia), il fatto che – deteriorandosi – non permette quei fenomeni adattativi che normalmente garantiscono l’adeguato flusso di sangue in relazione alle richieste dei diversi tessuti dell’organismo durante gli scambi ambientali (arteriosclerosi o meglio, come vedremo, disfunzione endoteliale).
Sul versante clinico, la malattia vascolare si identifica con gli organi irrorati dal sangue e quindi, traslativamente, con la patologia specialistica dell’organo che finisce per assurgere a ruolo di vittima principale della malattia vascolare stessa. Quindi parliamo di malattie cardiovascolari che sono principale appannaggio dei cardiologi, di malattie ischemiche degli arti che sono materia dei chirurghi vascolari e degli angiologi, ma anche, a tal proposito, di malattie ischemiche delle ossa e delle articolazioni, che allora diventano “proprietà”, per competenza, degli ortopedici. Potremmo continuare citando tutte le specializzazioni mediche, perché in realtà non esiste alcun “apparato” che non tema tra le sue possibili malattie l’ischemia, l’emorragia o l’arteriosclerosi.
La "globalizzazione" della malattia vascolare
Nel caso del sistema nervoso il problema assume proporzioni gigantesche: la malattia cerebrovascolare è in assoluto la più frequente forma di presentazione clinica in cui il neurologo si imbatte nel corso della propria pratica. Se alla patologia vascolare connessa alle malattie delle grandi arterie e vene del sistema nervoso centrale (infarto ed emorragia cerebrale) aggiungiamo la patologia delle diramazioni “più sottili” del sistema circolatorio ovvero le arteriole, le venule, fino alle microscopiche strutture costituite dai capillari sanguigni che nutrono tutti i tessuti nervosi e le loro adiacenze, la dimensione dell’oggetto d’osservazione finisce per pervadere quasi tutti gli ambiti delle conoscenze della neuropatologia e, sul piano distrettuale, per superare le distinzioni anatomo-funzionali classiche, prima di tutto la delimitazione tra sistema nervoso centrale e periferico.
In altre parole, la patologia della struttura dei vasi sanguigni è un elemento di unificazione che ingloba, attraverso i meccanismi della sua formazione, il sistema nervoso nella sua unità, dai sofisticati circuiti cortico-sottocorticali dell’encefalo fino alle sottili ramificazioni nervose della cute dell’alluce. Questa “globalizzazione” dell’insulto vascolare, microscopico e macroscopico – per tale motivo rispettivamente indicato col binomio macroangiopatia-microangiopatia – ha promosso negli ultimi 50 anni un profluvio a crescita esponenziale di ricerche citologiche, istologiche e biomolecolari sulla sua natura e sui suoi meccanismi di innesco.
I fattori di rischio della malattia vascolare
La via maestra che ha condotto quest’enorme mole di ricerche di base è stata sicuramente il viraggio cataclismatico dell’epidemiologia delle malattie dell’occidente da cui sono nate le attribuzioni dei cosiddetti “fattori di rischio ambientali”. A parità di una scontata – per quanto piuttosto variabile ed estremamente incisiva – ereditarietà geneticamente determinata per rischio di malattia vascolare, i ricercatori hanno cominciato a valutare i “nemici subdoli” connessi alla nostra vita moderna: il fumo, l’alcool, la dieta, la vita sedentaria, lo stress mentale ed emozionale, ovvero quelle condizioni che, a differenza dei fattori genetici, potrebbero essere suscettibili di variazione e quindi influire sul rischio di invalidità cronica e morte prematura.