Un nuovo test del sangue per misurare il rischio di tumore alla prostata che potrebbe ridurre di oltre il 40% le biopsie. È il risultato di uno studio sviluppato dalla Cleveland Clinic e presentato durante il meeting annuale dell’American Urological Association a San Francisco.
Il test si è dimostrato più accurato del tradizionale esame del PSA (acronimo che sta per antigene prostatico specifico, un enzima i cui valori anomali possono indicare problemi alla prostata, tumori compresi) e sarebbe in grado, da solo, di distinguere tra forme maligne e benigne del tumore senza necessità di esami invasivi.
Il test, chiamato IsoPSA, identifica i cambiamenti della struttura molecolare dell’antigene prostatico e quindi non si limita semplicemente a misurare la concentrazione del PSA nel sangue come fa il test in uso oggi. Non sempre, per altro, a valori alterati del PSA corrisponde un cancro – in alcuni casi si ha a che fare con una iperplasia benigna o una infezione -ragione per cui l’attuale test è sempre stato al centro di un acceso dibattito sulla sua effettiva utilità.
Tumore alla prostata, come funziona il nuovo test IsoPSA
IsoPSA va a vedere la concentrazione delle diverse ‘forme’ (isoforme in termini tecnici) della molecola PSA e in questo modo può discriminare i cambiamenti strutturali della proteina associati alla presenza o assenza di carcinoma con maggiore attendibilità dell’esame odierno.
IsoPSA, inoltre, distinguerebbe i tumori benigni da quelli maligni. Utilizzandolo si potrebbe ridurre l’eccesso diagnostico e terapeutico dei casi sospetti di tumore. Se così fosse, il nuovo test spazzerebbe via tutti i dubbi sull’analisi del PSA maturati a partire dagli anni Ottanta in poi. Il vecchio screening era stato largamente impiegato fino al 2009, quando il New England Journal of Medicine pubblicò due grandi studi che per la prima volta indagavano la sua efficacia mettendola fortemente in dubbio: il primo aveva trovato una riduzione del 20%, mentre il secondo non aveva osservato alcun beneficio.
L’efficacia dello screening di routine era stata considerata perciò molto bassa e da allora le linee guida lo hanno sconsigliato. Eppure, nel 2017 gli esperti sono tornati in parte sui propri passi dopo aver visto che negli anni di stop all’esame, la mortalità per tumore alla prostata negli Stati Uniti stava ricominciando a crescere. I dati arrivavano da uno studio internazionale guidato da Alex Tsodikov, biostatistico dell'Università del Michigan e pubblicato su Annals of Internal Medicine. I ricercatori ripresero in mano i due vecchi studi analizzando le differenze e scoprendo che lo screening per il cancro della prostata basato sul valore PSA può davvero ridurre la mortalità per questa malattia in modo significativo, cioè tra il 25 e il 32%. Meglio farlo insomma, piuttosto che non fare nulla. E così si arriva all’ultimo studio appena pubblicato dai ricercatori Cleveland e che potrebbe davvero costituire un passo in avanti considerevole nella diagnosi del tumore della prostata, un tumore che ogni anno in Italia colpisce 35mila uomini e che fino a oggi soltanto la biopsia è riuscita a identificare correttamente senza lasciare nel dubbio gli urologi.