La fibrillazione atriale
La fibrillazione atriale è di gran lunga la più frequente delle aritmie cardiache. In genere non è un aritmia che mette a rischio la vita: si potrebbe paragonare ad una automobile, che, normalmente dotata di 4 cilindri, funziona con 3 soli.
Il nostro cuore è composto da quattro cavità, di cui due superiori, gli atri, rispettivamente destro e sinistro, e due inferiori, i ventricoli, sempre destro e sinistro. Il sangue venoso (povero di ossigeno) proviene dai vari organi nell’atrio destro, di qui, con la contrazione dell’atrio,passa nel ventricolo destro, che lo spreme nel circolo polmonare. Qui il Sangue si arricchisce di ossigeno, diventando sangue arterioso, ritorna al Cuore nell’atrio sinistro, da dove passa nel ventricolo sinistro, che lo spreme, con una certa pressione, verso tutti gli organi del corpo.
Il complesso lavoro di questa perfetta pompa (in realtà si tratta di due pompe affiancate) è regolato dall’impianto elettrico cardiaco, che diffonde in tutto il cuore l’impulso elettrico che fa contrarre correttamente le fibre muscolari che compongono il cuore.
È del tutto evidente l’importanza di questo impianto elettrico al fine di ottenere una contrazione sincronizzata di tutte le cellule cardiache.
L’impulso elettrico viene creato da una batteria situata nell’atrio di destra, struttura conosciuta come “nodo del seno”. È la struttura che principalmente detta il ritmo cardiaco normale (chiamato “ritmo sinusale”), e ne determina le variazioni richieste nei vari momenti della giornata: infatti, sotto l’influenza del sistema nervoso vegetativo (autonomo), che attraverso i nervi controlla tutto il sistema, accelera il ritmo sinusale durante, ad esempio l’attività fisica, o lo rallenta di notte, quando dormiamo e abbiamo bisogno di un minor apporto di sangue.
L’impulso che nasce nel nodo del seno viene poi condotto all’interno degli atri verso una struttura chiamata “nodo atrio-ventricolare”, situata fra gli atri ed i ventricoli: è questo il punto di passaggio dell’impulso elettrico verso i ventricoli stessi. Viaggiando all’interno dei ventricoli in strutture specializzate, l’impulso raggiunge ogni cellula del muscolo dei ventricoli, e ne determina la contrazione sincronizzata, con conseguente espulsione del sangue dalle cavità ventricolari nella circolazione rispettivamente polmonare, ed in quella di tutto il corpo. Avviene così che il nostro cuore, “batte” o “pulsa” da 60 a 150 volte al minuto, a secondo delle necessità.
Succede in alcuni casi che il ritmo normale (sinusale) venga sostituito, nella muscolatura atriale, da un’attività elettrica del tutto scoordinata ed irregolare. Le cellule atriali si attivano elettricamente più di 300 volte al minuto, ma in modo del tutto autonomo, e non coordinato, tanto che gli atri perdono, durante la fibrillazione atriale, la capacità di contrarsi.
Questo numero così elevato di impulsi non passa tutto ai ventricoli (e questo è un bene), ma viene “filtrato” dal nodo atrio ventricolare che ne lascia passare solo una certa quota, generalmente tra i 90 ed i 160 al minuto. Dal momento che nella Fibrillazione atriale gli impulsi elettrici sono scoordinati ed irregolari, anche il ritmo ventricolare sarà del tutto irregolare e per lo più veloce.
Quali sono le conseguenze della Fibrillazione Atriale
Dal punto di vista dei disturbi che la fibrillazione atriale può procurare, questi sono molto variabili: può non essere avvertita del tutto, o dare disturbi lievi, che non impongono l’interruzione delle comuni attività giornaliere. Nella maggioranza dei casi tuttavia, determina cardiopalmo (la sensazione fastidiosa di sentire il cuore che batte forte), che spesso viene notato per la irregolarità dei battiti, ed anche mancanza di respiro (dispnea), ed impossibilità a compiere sforzi, che comunemente si eseguivano senza problemi.
Dal punto di vista della funzione del cuore, questa è evidentemente imperfetta: i battiti sono generalmente troppo veloci, oltre che irregolari, e questo determina la difficoltà delle camere ventricolari a riempirsi adeguatamente di sangue prima di spremerlo fuori. Questo determina in fondo una riduzione della quantità di sangue che viene espulsa dal cuore nell’unità di tempo (portata cardiaca). Inoltre non è adeguato il controllo della frequenza cardiaca, la possibilità cioè di aumentare il numero di battiti ad esempio sotto sforzo, e di ridurli di notte.
Nel complesso, tuttavia la fibrillazione atriale non è un’aritmia che mette a rischio la vita: si potrebbe paragonare ad un’automobile, che, normalmente dotata di 4 cilindri, funziona con tre soli.
La conseguenza più rilevante, invece, è legata al fatto che le camere atriali, fibrillanti, perdono la loro capacità contrattile. Per tale motivo il sangue ristagna un poco negli atri, potendo formare al loro interno dei coaguli: questi, nel momento in cui l’atrio acquista di nuovo la possibilità di contrarsi, per ripresa del ritmo sinusale, o anche in assenza di questo evento, possono essere sparati fuori dal cuore diventando emboli, e potendo essere inviati nel cervello questi eventi rendono ragione del rischio tromboembolico legato alla fibrillazione atriale, che è sicuramente la complicazione più grave dell’aritmia. Inoltre se la fibrillazione atriale persiste a lungo con una frequenza cardiaca particolarmente elevata, è possibile che il cuore in toto soffra per tale motivo, quindi inizi a dilatarsi ed in definitiva si instauri un quadro di scompenso cardiaco.
È un fatto frequente?
La fibrillazione atriale è di gran lunga la più frequente delle aritmie cardiache: la sua incidenza aumenta in modo significativo con l’età, e dal momento che in tutto il mondo occidentale la vita media si allunga sensibilmente, si capisce perché questa aritmia è la prima causa di ricovero per malattie cardiovascolari, in Europa come negli Stati Uniti.
Essa si associa praticamente ad ogni malattia cardiovascolare: nell’ipertensione, quando si inizia a determinare ispessimento delle pareti del cuore, ed a dilatarsi l’atrio sinistro, la fibrillazione atriale è particolarmente frequente; molto spesso, e sempre a causa di una dilatazione atriale, si associa alle malattie valvolari che interessano la valvola mitrale (stenosi e/o insufficienza mitralica); lo scompenso cardiaco, da qualsiasi causa sia determinato, si accompagna molto spesso con la fibrillazione atriale.
Altre malattie cardiache come la pericardite, ed anche altre extracardiache, come l’ipertiroidismo e la broncopneumopatia cronica ostruttiva (bronchite cronica), possono manifestare la fibrillazione atriale nel loro decorso.
In alcuni casi, tuttavia, l’aritmia si manifesta in modo “isolato”, cioè non accompagnata da una malattia di cuore: si tratta spesso di persone giovani, che per lo più mostrano l’aritmia in forma “parossistica”, che vuol dire che interviene improvvisamente, e da sola, nel giro di minuti, di ore, o di giorni, scompare spontaneamente.
Il trattamento
La terapia della fibrillazione atriale ha tre finalità principali:
- evitare che si formino trombi all’interno delle cavità atriali, che si possano trasformare in emboli (trattamento antitrombotico)
- controllare la frequenza cardiaca mentre è in corso la fibrillazione, o quando questa viene giudicata non più evitabile (fibrillazione atriale “permanente” )
- ripristinare il ritmo sinusale quando possibile, e cercare di mantenerlo una volta ripristinato, considerata l’elevata propensione dell’aritmia a ripresentarsi una volta che è stata interrotta.
Queste tre finalità del trattamento della fibrillazione atriale, non hanno sempre la stessa importanza o priorità: il tuo medico potrà indirizzarti a capire quale di queste finalità ha maggiore importanza nel tuo caso specifico.
Il trattamento antitrombotico
Dal momento che è stato detto quanto sia importante prevenire le tromboembolie, per le gravi conseguenze che potrebbe avere un ictus tromboembolico (ciò che avviene quando un embolo va ad occludere un’arteria più o meno importante del cervello), è chiaro che il trattamento tromboembolico è di primaria importanza nella cura della fibrillazione atriale.
Alcune condizioni definiscono elevato il rischio di avere tromboembolie in conseguenza della fibrillazione atriale: le principali sono l’avere già avuto un ictus cerebrale, avere una cardiopatia valvolare (mitralica), essere affetti da ipertensione arteriosa anche se curata, avere più di 65 anni.
La presenza di uno o più di tali condizioni, generalmente impone il trattamento con farmaci anticoagulanti orali della famiglia degli anti vitamina K (Coumadin o Sintrom). Purtroppo tali farmaci non hanno una dose standard, ma questa deve essere aggiustata sulla base di un esame del sangue da ripetere ogni 10-30 giorni, chiamato tempo di protrombina. Il risultato viene di solito espresso come INR, e questo valore deve essere tenuto, normalmente, fra 2 e 3 (la persona che non assume il farmaco avrà INR di 1). Se il valore è sotto il 2 permane il rischio tromboembolico, se è molto sopra il 3, aumenta il rischio di eventi emorragici. Per tale motivo è necessario controllare sistematicamente questo esame per una corretta conduzione della terapia anticoagulante.
Il trattamento per controllare la frequenza
Quando la fibrillazione è in atto, o quando il medico decide che è “permanente”, perché non vi sono molte possibilità di ripristinare il ritmo sinusale, è necessario somministrare farmaci per far sì che la frequenza cardiaca non sia eccessivamente elevata: tali farmaci sono i betabloccanti, i calcio-antagonisti, la digitale, a volte un antiaritmico chiamato amiodarone.
La scelta tra tali farmaci verrà fatta dal tuo medico sulla base del rapporto beneficio/effetti collaterali, e dovrà tener conto anche del diverso effetto del farmaco infatti la fibrillazione atriale ha tendenza ad avere una elevata frequenza durante il giorno, ed una frequenza a volte molto bassa di notte: le somministrazioni del farmaco dovrebbero essere quindi cadenzate in modo da ottenere un buon controllo della frequenza durante tutte le 24 ore.
Il trattamento per ripristinare e mantenere il ritmo sinusale
È comunque opportuno in molti casi cercare di ripristinare il ritmo sinusale: i farmaci sono efficaci solo nelle prime ore dopo l’insorgenza dell’aritmia.
Generalmente si tratta di farmaci da somministrare per via venosa, ed è richiesto quindi il ricovero in Pronto Soccorso. In casi selezionati è possibile anche tentare di interrompere l’aritmia a domicilio con farmaci presi per bocca.
Se l’aritmia è presente da giorni, invece è necessario sottoporsi alla cardioversione elettrica: questa consiste nell’erogare una corrente elettrica ad alta energia alla superficie esterna del torace, previa una breve sedazione e/o anestesia. Questa corrente determina praticamente “l’azzeramento” dell’attività elettrica cardiaca, che generalmente riparte con il ritmo sinusale.
La manovra non presenta rischi sostanziali, e può tranquillamente essere eseguita in regime di Day-Hospital: è però necessario che il sangue sia scoagulato con farmaci anti vit-K per almeno 4 settimane prima, e per un altro mese dopo la procedura: infatti se esistono trombi all’interno dell’atrio, nel momento in cui l’atrio stesso riprende a contrarsi, possono essere espulsi e diventare emboli.
L’ablazione
In casi molto selezionati potrà essere proposto un trattamento ablativo, come soluzione definitiva al problema della fibrillazione atriale recidivante. Esistono due tecniche diverse, che sostanzialmente mirano ad isolare elettricamente la zona ritenuta responsabile della fibrillazione atriale: tale zona è situata nell’atrio sinistro, in corrispondenza dello sbocco in esso delle vene polmonari (quelle che portano il sangue ossigenato dai polmoni nuovamente al cuore).
La procedura non è semplice, in quanto richiede un cateterismo transettale (bisogna perforare con un ago speciale il setto fra i due atri per arrivare nell’atrio sinistro), ed un’attenta condotta della terapia anticoagulante: va eseguita dunque in centri ospedalieri di provata esperienza.
Il successo della procedura, che spesso deve essere ripetuta, viene riportato intorno al 75% dei casi, continuando la terapia antiaritmica. Complicazioni, raramente molto gravi, sono riportate nell’1-5% dei casi.
I soggetti che più si giovano di tale procedura sono coloro che, ragionevolmente giovani, non hanno cardiopatia associata, e presentano un atrio sinistro non dilatato, o lievemente dilatato.
Allo stato attuale delle conoscenze, considerata la complessità della procedura, e l’incidenza non trascurabile delle complicazioni, tale procedura viene riservata a persone che sono molto disturbate dalla fibrillazione atriale, e nelle quali i farmaci si sono dimostrati inefficaci.