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Depressione post partum

Depressione post partum

La depressione post partum è la manifestazione di una difficoltà di adattamento ai cambiamenti e di un senso di inadeguatezza delle mamme.

Che la maternità possa rappresentare una condizione di solitudine per l’essere umano donna è un fatto documentato dalla ricerca scientifica. Le ricerche hanno pure evidenziato che questa situazione rappresenta una 'crisi evolutiva' valutabile nei suoi aspetti positivi di maturazione ed evoluzione, ma anche nelle sue eventuali connotazioni di vulnerabilità e potenziale presenza di rischi sul piano psicologico e sociale.

Si tratta di un periodo (gravidanza, parto, allattamento e puerperio) della vita al cui interno vi sono notevoli cambiamenti e necessari adattamenti che comportano un adeguato impegno psicofisico e, di conseguenza, una tensione nervosa, un logorio spesso non avvertito dalla persona ma ugualmente impegnativo che generalmente definiamo come stress.

Questo logorio non è una malattia in sé, quanto una sofferenza o un segnale di difficoltà d’adattamento a cambiamenti che impongono un nostro investimento diretto e, di conseguenza, una risposta efficace nei confronti delle difficoltà incontrate. È chiaro che, nei casi in cui le risorse della persona sono insufficienti a far fronte alle richieste degli eventi, la fatica e la sofferenza possono trasformarsi in vere e proprie alterazioni organiche e funzionali che in certi casi possono esprimersi anche in forma molto grave.

Affermare ciò vuol dire innanzitutto riportare sul piano della realtà un fenomeno che altrimenti rischia di essere soprattutto idealizzato. Lasciando nell’ombra il peso della solitudine e del senso d’inadeguatezza che provano certe donne di fronte a una maternità spesso esaltata nei discorsi pubblici e tanto mortificata nella pratica familiare, lavorativa, economica e sociale.

Ma vuol dire pure far risaltare la sostanziale impreparazione delle donne e degli uomini di fronte a una genitorialità vissuta come 'naturale', legata all’idea che essa sia la realizzazione prioritaria di ogni donna. In realtà ha poco di naturale, innanzitutto perché porta con sé, tenendo conto delle differenti biografie individuali, un carico di attese, fantasie, imperativi o costrizioni, prescrizioni o interdizioni, che influiscono sul buon umore e la gioia di una sana maternità e alcune volte (molte) in rabbia repressa o vuoto esistenziale, soprattutto quando viene messa in secondo piano la stanchezza, la solitudine, il senso di inadeguatezza di una donna nel momento in cui si trova ad accogliere la vita di un altro essere in modo totalizzante.

La gravidanza rappresenta il primo momento critico per la madre, in quanto periodo di notevoli trasformazioni fisiche ed emotive, che si influenzano vicendevolmente. Si pensi, ad esempio, alle modificazioni della forma corporea, ai movimenti fetali avvertiti come presenza estranea e alla concomitante ansia o irritazione con possibile sintomatologia gastrointestinale o tachicardia e modificazioni del quadro respiratorio.

Allo stesso tempo, influiscono le fantasie e la quantità degli affetti e dei pensieri riguardanti il sano sviluppo del feto. Come pure il sostegno psico-sociale, spesso insufficiente o addirittura assente. Si pensi alle relazioni affettive con la propria madre e alla vicinanza dei familiari, oppure alla possibilità di avere una relazione soddisfacente con il padre del bambino.

Al momento del parto vi è finalmente la gioia della nascita, che mette da parte le paure inconfessabili vissute sino a quel momento. Ma se da un lato la donna vive il Parto come una conferma della propria capacità generativa e della funzionalità del suo corpo, dall’altra teme di non riuscire ad essere all’altezza della situazione e pertanto si sente sopraffatta dal senso d’inadeguatezza.

Dal parto al puerperio accadono altri sconvolgimenti, la letteratura scientifica li ha più volte descritti, comportano fenomeni di scompenso ed episodi di Depressione che talvolta si manifestano con molta insidiosità.

C’è un disturbo dell’umore comunemente denominato baby blues (a volte maternity blues o, in modo tecnicistico e freddo disforia post partum) che insorge, con una frequenza compresa tra il 30 e l’85%, nella prima settimana dopo il parto e, di solito, è abbastanza breve. Si presenta con disturbi del sonno, mancanza di energie, inappetenza, stanchezza eccessiva; le mamme sono nervose e tristi, piangono, sono spesso irritabili e iperattive ed hanno rapporti difficili con il bambino.

La letteratura scientifica documenta inoltre che il 10-18% delle donne è a rischio di sviluppare una depressione post partum, il 2-3% addirittura un disturbo da stress post Traumatico e in rari casi viene diagnosticata addirittura una psicosi puerperale.

Ma, piuttosto che enfatizzare la portata delle sindromi più importanti come le ultime elencate, è opportuno dare rilievo in questa occasione al fatto che molto spesso non si riconosce e addirittura si sottovaluta la sofferenza esistenziale della neo-mamma e tutto ciò può avere serie ripercussioni sulla interazione con il bambino e il suo sviluppo affettivo e cognitivo.

È quanto emerge da una vasta rassegna di studi della psicologia che nel tempo ha evidenziato una 'matrice relazionale' alla base dello sviluppo di adattamenti normali o anormali del bambino. Tutto ciò trova una rispondenza anche in campo pediatrico.

Uno studio condotto dalla New York School of Medecine, su circa 22mila bambini, porta alla conclusione che la depressione della madre – ed anche quella del padre – può aumentare significativamente il rischio che il figlio, a sua volta, viva problematiche di natura psichica.

L’insieme delle emozioni negative e le preoccupazioni per la propria condizione fisica e la salute del bambino, presenti anche in quelle donne che non hanno una gravidanza complicata, tendenzialmente sono escluse da una consapevole elaborazione e sono velocemente cancellate per il loro carattere incongruo rispetto al significato positivo che l’esperienza della maternità rappresenta, oppure sono accantonate in una zona d’ombra che difficilmente si può esplorare in solitudine.

Sapendo ciò, è necessario trovare il modo per evidenziarle, legittimarle e, allo stesso tempo, aiutarle a trasformarsi in un sano progetto di evoluzione individuale. Tutto ciò è possibile attraverso l’ascolto empatico di un’altra persona, in grado di comprendere quelle difficoltà, perchè magari le ha vissute direttamente in circostanze analoghe, ed è pertanto capace di fornire feedback congruenti e cure sufficientemente buone. Oppure attraverso il sostegno di altri che, per pratica professionale, formazione adeguata e capacità di porsi in maniera immediata nello stato d’animo o nella situazione della madre sofferente, dimostrano un'adeguata partecipazione emotiva.

A cura di:

Dott. Vittorio Tripeni - Psicologo clinico e del lavoro

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Ultimo aggiornamento: 05 Aprile 2017
6 minuti di lettura

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