Ogni anno, in Italia, circa 160.000 persone sono colpite da un evento coronarico, il più delle volte un infarto. Stando ai dati dell’Istituto Superiore di Sanità, la mortalità per infarto miocardico è scesa in misura notevole negli ultimi vent’anni del secolo scorso, da 166 a 64.6 per 100mila negli uomini e da 43.57 a 17.33 per 100mila nelle donne (sono dati 2002).
Salvati dalla prontezza dell’intervento, dai progressi della ricerca clinica e da nuovi farmaci sempre più efficaci, dall'acido acetilsalicilico a basso dosaggio agli antiaggreganti piastrinici di nuova generazione. Gli eventi coronarici colpiscono in larga parte gli anziani (l’età media dei pazienti è tra i 65 e i 70 anni, con più di un terzo over 75), e non risparmiano affatto le donne, che sono colpite in una percentuale compresa tra il 30% e il 40%.
Più in dettaglio, vi è da aggiungere che circa un quarto dei pazienti è affetto da diabete mellito, e meno della metà ha manifestato in passato una coronaropatia. Di queste, una su tre è destinata a subire un nuovo attacco cardiaco o un nuovo ricovero ospedaliero entro sei mesi e 10.000 ogni anno non sopravvivono al secondo infarto.
E, con l’aumento dell’età media della popolazione, la popolazione colpita è destinata a crescere. All’origine di un infarto coronarico acuto vi è l’occlusione totale o parziale di un’arteria coronarica, causata, nella maggior parte dei casi, da un trombo prodottosi in seguito all’erosione e alla rottura di una placca aterosclerotica.
Quando ciò accade, il flusso sanguigno alla porzione di muscolo cardiaco a valle dell’occlusione stessa si riduce drammaticamente o s’interrompe (ischemia) e può causare la morte delle cellule muscolari miocardiche (necrosi). Un importante indicatore di questa condizione è l’aumento della concentrazione nel Sangue di alcuni marcatori di danno miocardico, tra le quali le troponine.
In base alla tipologia d’insorgenza clinica, alla presenza o meno di alterazioni nel tracciato dell’elettrocardiogramma (ECG) e all'aumento o meno delle troponine, un infarto può essere:
- infarto STE (ST Elevation), con occlusione grave e permanente di una o più arterie coronarie (denunciata quasi sempre da uno slivellamento verso l’alto del tratto ST del tracciato ECG ) e conseguente necrosi, che provoca un aumento delle troponine nel sangue;
- infarto NSTE (Non ST Elevation), quasi sempre con occlusione incompleta o transitoria (senza slivellamento verso l’alto del tratto ST dell'ECG), con una prognosi più favorevole rispetto all’infarto STE. Tra le sindromi coronariche acute NSTE sono comprese:
- angina instabile, senza aumento delle troponine;
- infarto NSTE, con aumento delle troponine causato dalla Necrosi.
Tutte queste condizioni rientrano nel gruppo delle cosiddette Sindromi Coronariche Acute (SCA). Dal punto di vista dei numeri, gli eventi senza sopraslivellamento del tratto ST, cioè le angine instabili e gli infarti NSTE, sono in progressivo aumento con una frequenza ormai quasi doppia rispetto agli infarti con sopraslivellamento del tratto ST (rispettivamente 61.1% contro 38.9%, nel 2005).
La diminuzione nella prevalenza di questi ultimi è almeno in parte dovuta ai progressi nella gestione dell’emergenza-urgenza in acuto, ma anche agli interventi sugli stili di vita e alle terapie farmacologiche. Oggi, oltre il 65% dei pazienti giunge in ospedale in tempo per ricevere una terapia di riperfusione coronarica sia farmacologica, sia interventistica con angioplastica percutanea.
Una percentuale che è costantemente aumentata negli ultimi 10 anni, anche se si calcola che, ogni anno, potrebbero essere evitati oltre 5.000 decessi causati da SCA. Ma come? Che cosa fare in caso di sospetto infarto acuto? Prima di tutto, come chiarisce il Prof. Marino Scherillo, Direttore del Dipartimento di Cardioscienze dell'Azienda Ospedaliera Rummo di Benevento, occorre 'fare subito la cosa giusta'.
Bibliografia
- Perugini E, Maggioni AP, Boccanelli A, Di Pasquale G. G Ital Cardiol 2010; 11 (10): 718-729
- Collinson J, et al. Eur Heart J. 2000; 21:1450-1457
- Il valore della vita