Trattamento dell’infiammazione cronica e alleviamento dei sintomi depressivi: sono sempre più numerose le ricerche e gli studi scientifici intenzionati a dimostrare un collegamento tra queste due aree. In particolare, un team di ricercatori della Scuola di Medicina dell’Università di Stanford, negli Stati Uniti, ha individuato nel sangue di chi è affetto da sindrome da fatica cronica (o encefalomielite mialgica) un gruppo consistente di biomarcatori, particolari proteine che indicano la presenza di un’infiammazione in corso. Il senso di stanchezza cronica, insonnia e mancanza d’appetito sono un campanello d’allarme per individuare chi soffre di disagio psicologico ed è a rischio depressione.
Il ruolo delle citochine
Una notizia rilevante, considerando che fino a poco tempo fa i biomarcatori – tradizionalmente utilizzati per individuare alterazioni del sistema immunitario – non risultavano consistenti nei pazienti con questa sindrome. Meglio ancora, non si trovavano con sufficiente regolarità per essere ritenuti strumenti diagnostici. In particolare, i ricercatori si sono concentrati sulle citochine (proteine che fungono da segnali di comunicazione tra le cellule del sistema immunitario, e tra queste e differenti organi e tessuti) e, confrontando il sangue di 186 persone con sindrome da fatica cronica (i cui pazienti tipici sono persone tra i 20 e i 40-50 anni, più spesso donne) e di 388 soggetti sani, hanno rilevato 17 tipi di citochine che possono essere utilizzate per risalire alla patologia. Tra queste, 13 sono collegate a una condizione infiammatoria.
Dunque la sindrome da fatica cronica è una malattia infiammatoria ancora poco conosciuta? Potrebbe esserlo, ma a questo punto un giorno diventerebbe, finalmente, curabile. Le citochine incriminate, infatti, non costituiscono la causa, ma solo una traccia della malattia. Un segnale chimico, insomma, che consentirà l’approdo ad un esame diagnostico.
La depressione è un'infiammazione cerebrale?
L’interrogativo è d’obbligo, e l’ipotesi secondo cui – nel prossimo futuro – un antinfiammatorio possa aiutare a combattere la depressione non è così peregrina. È quanto emerge da una ricerca condotta al Centro per la Dipendenza e la Salute Mentale di Toronto, che ha coinvolto 20 pazienti e un gruppo di controllo di altre 20 persone senza problemi dell’umore. Si tratta di uno studio “raccolto”, certamente, ma attraverso la tomografia a emissione di positroni Pet – tra gli strumenti di “neuroimaging” più innovativi, applicabile in differenti ambiti sia diagnostici sia di ricerca – si è calcolato addirittura un 30% in più di infiammazione che ha colpito il cervello di persone affette da depressione maggiore, percentuale che sale ancora nei malati più gravi.
Un esito interessante, considerando che fino a qualche anno fa non era ben chiaro se l’infiammazione giocasse un ruolo nella depressione clinica a prescindere dalla presenza di malattie fisiche. Il dottor Jeffrey Meyer, che ha guidato la ricerca, ha spiegato: “La scoperta è importante, poiché si possono trovare nuove tipologie di farmaci per un significativo numero di malati di depressione che non rispondono alle cure attuali”. Quindi ha precisato: “Nessuno degli antidepressivi disponibili ha come obiettivo di ‘spegnere’ uno stato infiammatorio”.
I numeri della depressione nel mondo
L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la depressione la malattia più invalidante al mondo nel prossimo futuro. Attualmente ne soffrono circa 322 milioni di persone, qualcosa come il 4.3% della popolazione mondiale. Ma il problema è molto più ampio e – spesso – non diagnosticato (a pesare, infatti, sono lo stigma sociale, il terrore della dipendenza dai farmaci, la sottovalutazione dei malati e delle famiglie).
La depressione trova terreno fertile, in particolar modo, nelle persone adulte, ovvero quelle fra i 55 e 74 anni. Questa malattia incide di più tra le donne che negli uomini (5.1% contro 3.6%) e non si dimentica nemmeno dei giovani, se consideriamo che la seconda causa di decesso tra i 15 e i 29 anni è proprio il suicidio (molto spesso ultimo, drammatico atto di un iter depressivo).