Il colore è accattivante ma sugli scaffali dei negozi di alimenti bio è venduto a prezzi stratosferici. Secondo alcuni favorisce il sonno, migliora la ritenzione idrica e aumenta il desiderio sessuale. È il sale rosa dell’Himalaya, una moda degli ultimi anni, senza dubbio, che cavalca l’onda dell’attenzione a un mangiare più sano e consapevole.
In molti, cuochi e nutrizionisti compresi, lo consigliano sulla propria tavola. Ma la comunità scientifica è cauta e a volte sembra confermare alcune delle presunte proprietà del sale rosa, altre volte – più di frequente – vi mette un freno etichettando i suoi benefici, piuttosto, come delle trovate pubblicitarie senza fondamento se non come delle vere e proprie bufale. Procediamo con ordine.
Sale rosa dell’Himalaya: ecco le presunte proprietà
Il sale rosa dell’Himalaya sarebbe diverso dal comune sale da cucina in quanto puro e incontaminato e dunque privo delle sostanze inquinanti che potrebbero trovarsi nel sale proveniente da mari e oceani. Carico di sali minerali, soprattutto di ferro che gli conferisce la particolare colorazione rosata, è un sale non raffinato – dunque non trattato chimicamente – e non sbiancato.
Meno dannoso per l’intestino del sale marino, rispetto a questo esalta maggiormente il sapore dei cibi (ne basta effettivamente pochissimo per aumentare la sapidità del piatto). Secondo chi lo apprezza, il sale rosa himalayano limita il rischio di ritenzione idrica e di ipertensione e i segni di invecchiamento della pelle.
Il sale rosa migliorerebbe anche la respirazione e la circolazione sanguigna oltre a ridurre i crampi e migliorare l’assimilazione degli elementi nutritivi dei cibi senza, per altro, danneggiare i reni. Il sale rosa favorirebbe naturalmente il desiderio sessuale. Non solo un condimento, il sale dell’Himalaya viene usato anche come scrub per la pelle, come sale da bagno e per la pulizia del cavo orale.
Sale rosa himalayano: un falso mito?
Chiariamo subito un equivoco: nonostante il nome, quasi tutto il sale rosa in commercio non proviene dalle catene montuose dell’Himalaya bensì dal Pakistan, dove si trovano abbondanti riserve a centinaia di chilometri dai monti di cui questo alimento porta il nome. Sembra che nel solo Punjab si producano seicentomila tonnellate di sale l’anno. Il nome scelto, quindi, è senza dubbio una efficace trovata commerciale.
Alcuni studiosi ritengono che trattandosi di un sale non raffinato e incontaminato, contenente ferro, zinco e rame, sia più assimilabile dal nostro corpo e più digeribile. Altri, invece, insistono che il sale è sale, non importa se sia rosa, nero, bianco o azzurro: l’elemento base è quasi esclusivamente il cloruro di sodio. Stop dunque ai facili entusiasmi.
Il sale rosa, soprattutto in rete, è elogiato per la sua presenza di ferro – totalmente assente nel sale bianco – di cui la Società italiana di nutrizione umana (Sinu) raccomanda un fabbisogno medio di 10 milligrammi al giorno. Ma la quantità di minerale contenuta nel sale rosa è davvero irrisoria: si calcolano dai 0,30 ai 50 milligrammi di ferro per chilo di sale rosa, a seconda dei siti di estrazione. C’è molto più ferro, in proporzione, nei legumi, nella carne, nelle uova o nella frutta secca. Tutte le altre proprietà non sono al momento scientificamente provate e si affidano un po’ alle varie scuole di pensiero sul tema del mangiare bene e del mantenersi in buona salute.