Nel susseguirsi quotidiano di dati e notizie relative alla “situazione coronavirus”, anche nella mia quarantena newyorkese, mi hanno colpito alla tv le parole di uno scrittore, Stefano Massini, che, con la sensibilità propria di un narratore delle vicende umane, ben ha intercettato come accanto a un’emergenza sanitaria ed economica, questa pandemia ci stia sottoponendo - tutti e ciascuno - ad un’altra difficoltà, forse meno modellizzabile e misurabile ma non meno eccezionale, quella che potremmo chiamare "un'emergenza emotiva".
Il senso di impotenza e incertezza
Siamo dunque tutti traumatizzati da ciò che sta accadendo? Per l’eccezionalità e il drastico impatto che questa situazione sta avendo sulla nostre vite, essa ha certamente il potenziale per poter essere traumatica, ovvero per “rompere”, mettere in crisi la nostra integrità, l’integrità della nostra quotidianità, dei nostri progetti, della nostra visione delle cose.
La restrizione della libertà ma forse ancor di più il senso di impotenza e incertezza rispetto ad un fenomeno cosi dirompente e brutale possono comprensibilmente essere all’origine di un’inquietudine che in molti stiamo vivendo. Inquietudine che se non compresa può prendere la forma di un’ansia costante, ma anche dell’angoscia, dell’aggressività, della paranoia o della depressione.
Come gestire le emozioni e reagire all'emergenza
L’aiuto dello specialista può essere utile quando la gestione delle emozioni diviene insostenibile o il livello di sofferenza soggettivamente inaccettabile. Ma è importante anche rafforzare le nostre strategie cosiddette di “coping” per renderci meno vulnerabili a questa “disgregazione”.
Nel limite del possibile, proteggiamoci da ciò che sappiamo aumentare i nostri livelli di stress: cerchiamo di rispettare i ritmi circadiani, riposando adeguatamente e mangiando bene e ai giusti orari; facciamo esercizio fisico e prendiamoci cura del nostro rapporto con gli altri e la realtà cercando di conoscere e capire ciò che sta succedendo attorno, ma proteggendoci dal bombardamento di notizie. Informarsi è bene, ma non “fissarsi” sulle news, né tanto meno rimuginare costantemente su queste. Piuttosto, cerchiamo di dedicarci all’organizzazione della nostra vita e agli altri. Importante sarà non ascoltare troppo i segnali del “corpo”, che in una situazione di allerta possono diventare facilmente ingigantiti e mal interpretati.
Anche a costo di sembrare scontata, da psichiatra voglio ribadire come prendersi cura del proprio benessere psichico dovrebbe essere riconosciuta come una prerogativa di tutti, e non una necessità sfortunata di coloro che, ancora stigmatizzati nel venir definiti attraverso una patologia, son ghettizzati in qualità di “malati di mente”.
In una situazione come questa, comunicare e condividere diventa ancor piú importante. Innanzitutto per riscoprirsi insieme, vicini perché di fronte a una medesima preoccupazione non è difficile riscoprirsi simili. E perché il demone, quando lo si conosce, risulta meno terribile.
Potremmo sfruttare questo tempo per prenderci cura di idee e attività trascurate, per riconsiderare cosa per noi è importante e per pensare al “dopo”: come vogliamo che questo sia? Riappropriamoci della nostra progettualità, a livello individuale, ma anche collettivo. Potremmo auspicarci che questa crisi globale ci faccia davvero realizzare che siamo interconnessi e interdipendenti gli uni dagli altri e come sia necessario ripensare a un modello economico e politico che tenga conto del sistema mondo, che non trascuri niente e nessuno.
L'emergenza Coronavirus come opportunità di cambiamento
Sembra essere passata un’eternità da quando la minaccia di questo virus ha cominciato a modificare radicalmente la nostra quotidianità, tanto da poter indurci a credere che questa situazione sia quasi incontrovertibile. In ogni crisi, è fisiologico che dopo una fase eroica di lotta ci possa essere lo scoraggiamento. Eppure sono passate solo poche settimane e, sebbene abbiamo dovuto subito terribili perdite, siamo già molto più consapevoli rispetto a come poter rispondere in maniera efficace a tutto questo.
Dopo la fase della re-azione emergenziale, adesso è il tempo dell’azione propositiva; non è più il tempo del subire ma del ricostruire a livello sociale (dove, in attesa del vaccino, impareremo a convivere in maniera intelligente con questo virus) ma anche a livello individuale. Cerchiamo di relativizzare questa fase di disillusione e di proiettarci nel “dopo”, che è quasi già qua. L’immobilità imposta da questa quarantena è fisica, ma non certo vuota di possibilità.
Facciamo che questa emergenza possa diventare, suo malgrado, anche un’opportunità di bene e una forza propulsiva di cambiamento, per noi e per le nostre comunità.