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Una giornata senza tabacco

Una giornata senza tabacco

Nonostante provochi più di sei milioni di vittime in tutto il mondo, il consumo di tabacco resta una delle cattive abitudini più diffuse.

L’ultimo studio sui danni provocati dal fumo è stato pubblicato sulla rivista Cancer, Epidemiology, Biomarkers and Prevention e mostra come la sigaretta del primo mattino sia più dannosa di tutte le altre.

I ricercatori della Penn State University hanno scoperto, dopo aver analizzato circa duemila fumatori, che i livelli di biomarkers specifici della presenza di sostanze cancerogene risultavano essere più elevati nelle urine di quanti accendevano la prima sigaretta entro i primi cinque minuti dopo il risveglio, rispetto a chi aspettava almeno un’ora.

Si tratta di un dato che conferma quanto già scoperto, e cioè che accendere la sigaretta appena subito dopo il risveglio aumenta ancora di più il rischio di tumore ai polmoni e alla bocca. Ma al di là della scelta del momento più opportuno per fumare una sigaretta, resta il fatto che il fumo rappresenta uno dei fattori di rischio più elevati e diffusi in tutto il mondo.

Il fumo causa dipendenza e influisce sull’umore, aumenta il rischio di carcinomi polmonari e al cavo orale (e anche altri tipi di neoplasie), favorisce l’insorgenza di patologie cardiovascolari e sarebbe responsabile di più dell’80% delle bronchiti croniche.

Smettere di fumare comporta, innegabilmente, un enorme vantaggio per la salute: basti pensare che già dopo un anno dall’ultima sigaretta il rischio di infarto scende considerevolmente per assestarsi, dopo 15 anni, agli stessi livelli di chi non ha mai fumato, e dopo 10 anni senza sigaretta anche il rischio di Cancro ai polmoni cala del 50%.

Eppure anche di fronte a questi dati il tabagismo resta una delle cattive abitudini più diffuse a livello mondiale. L’Organizzazione Mondiale della Sanità precisa che il tabagismo uccide ogni anno sei milioni di persone (70mila in Italia, dove si stima che fumi il 20% della popolazione), per la maggior parte dei casi a seguito di un Tumore ai polmoni, ma anche di malattie cardiovascolari per le quali la sigaretta resta tra i fattori di rischio più evidenti.

E proprio l’Organizzazione Mondiale della Sanità si fa promotrice, ogni anno, il 31 di maggio, del World No Tobacco Day, la Giornata Mondiale Senza Tabacco, che quest’anno ha come tema 'Divieto della pubblicità, della promozione e della sponsorizzazione del tabacco'.

Leggi anche:
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Ultimo aggiornamento: 18 Maggio 2017
3 minuti di lettura
Commento del medico
Dr. Enzo Brizio
Dr. Enzo Brizio
Medico di Medicina generale

Che il fumo di tabacco sia dannoso per chi fuma attivamente e per chi subisce il fumo altrui è un dato di fatto innegabile, dimostrato da numerosissimi studi, con un'intensità di pericolo talmente alta che in molti casi diviene mortale, nonostante le pietose scuse dei fumatori che accampano presunti danni ben maggiori derivanti da smog e inquinamento (fattori sicuramente nocivi, ma su cui non esistono evidenza di danno sanitario dimostrato con assoluta certezza, come invece avviene per il fumo).

Eppure, su una popolazione mondiale di circa 7 miliardi di persone, la statistica ci dice che all'incirca il 33% di loro è un fumatore, nonostante nella maggior parte dei casi sia ben conosciuto il danno provocato da questo vizio. Perché si fuma, se si sa benissimo che fa male?

Bisogna partire dall'età adolescenziale: si inizia a fumare per dimostrare di aver raggiunto l'età della maturità, per attuare una ribellione alle regole, per testimoniare di non essere 'diversi' in una società di fumatori, per manifestare la propria non inferiorità rispetto ai coetanei, per disubbidienza, per imitazione di modelli televisivi o cinematografici, per scommessa, per 'sfida', per falsa convinzione della propria inattaccabilità da parte delle malattie, insomma per un mucchio di motivi disparati.

Una volta iniziati al fumo, se si superano le 10 sigarette al giorno è veramente molto difficile smettere, dal momento che la nicotina provoca dipendenza sia fisica sia psicologica. I vari rimedi proposti per la disassuefazione agiscono quasi esclusivamente sulla dipendenza fisica, mentre la 'voglia' di fumare viene intaccata solamente da una volontà molto decisa ed irriducibile, e questo spiega gli insuccessi frequentissimi di chi desidererebbe smettere il vizio ma non vi riesce.

Smettendo di fumare occorrono circa 10 anni per azzerare l'aumento di rischio tumorale e cardiovascolare, e questo scoraggia molti volenterosi che diversamente forse smetterebbero, spinti dai più svariati motivi: paura del danno fisico su se stessi, paura del danno provocato ad altri (figli piccoli), contenimento di una spesa che diventa sempre più importante, desiderio di dimostrare la propria volontà, appartenenza a gruppi di familiari o di amici non fumatori... motivi che sono probabilmente tanti quanti quelli che inducono ad iniziare, forse anche di più.

Ma sta di fatto che i fumatori 'pentiti' sono ancora pochi, troppo pochi rispetto ai fumatori inveterati, e la loro percentuale non accenna ad aumentare. Perché? Perché la campagna di induzione al fumo da parte della società è incessante, ed in questa campagna l'esempio del gruppo di appartenenza è sicuramente uno dei fattori più determinanti: molti giovani non hanno mai iniziato a fumare semplicemente perché hanno frequentato gruppi in cui nessuno fumava, e all'opposto molti che desideravano fumare sono stati psicologicamente 'costretti' a cedere di fronte ad amici fumatori, per non recitare la umiliante parte del brutto anatroccolo.

Se poi pensiamo che lo Stato, che ha (anzi, che avrebbe) il dovere di non compromettere e tutelare la salute dei propri cittadini, mentre per quasi tutti gli altri agenti tossici esercita un'azione di controllo e di divieto di uso (veleni chimici per l'agricoltura, sostanze dannose per la veterinaria, droghe leggere e pesanti), nel caso specifico del tabacco, in cui è assolutamente assente il benché minimo fattore positivo (come invece per l'altra grande droga di massa dei tempi attuali, l'alcol che, a dosi ridotte, è un vasodilatatore ed aumenta alcune lipoproteine protettive), non solo non fa nulla per proibirne l'uso, ma addirittura esercita un monopolio sulla sua vendita, tacitandosi la coscienza con quelle scritte impresse sui pacchetti di sigarette, che non servono sicuramente ad incentivare la cessazione dal fumo da parte di chi ne è dipendente.

Sul versante dei fumatori, questi si sentono 'perseguitati' dal divieto di fumo nei locali pubblici, rimpiangendo i tempi in cui non si poteva quasi vedere un film perché il locale di proiezione era avvolto in una spessa cortina fumogena, ed adducendo la solita vecchia giustificazione della libertà consapevole di nuocersi. Ma se analizziamo a fondo la situazione, in realtà questa libertà non dovrebbe prevedere il danno arrecato a chi non fuma, per cui in realtà sono i non fumatori ad essere ghettizzati, costretti a subire il fumo altrui senza alcuna legge che li tuteli, a parte il divieto suddetto nei luoghi pubblici.

Adesso qualcosa si sta muovendo anche per quanto riguarda i divieti in pubblico (ad esempio, da molto tempo è vietato fumare nella Piazza Rossa di Mosca, mentre con il Smoke Free Air Act nel 2011 è divenuto proibito fumare in qualsiasi dei 1700 parchi di New York e lungo tutte le spiagge di questa città. Il ministro Balduzzi aveva proposto una legge di questo tipo, ma con le vicissitudini del governo italiano tutto è ancora in alto mare).

La mancanza di efficaci leggi sul fumo attivo e passivo (ricordo che la legge italiana che vieta il fumo nei locali pubblici risale al 2003, mentre nel 2009 una sentenza del Consiglio di Stato ha cancellato per i gestori dei pubblici esercizi le sanzioni previste in caso di non segnalazione delle violazioni della legge suddetta), il 'piacere' che si ottiene dal fumo, il relativo basso costo rispetto ad altre droghe, l'enorme diffusione, la stratosferica cifra che ruota attorno a questo 'affare' sono insomma tutti fattori che probabilmente fanno sì che questo assassino che ha sulla coscienza 70.000 italiani ogni anno continui imperterrito a mietere le proprie vittime, almeno fino a quando i 'pazienti' (perché in fondo sono tali) non si autodetermineranno a decidere di cessare questo lento ed implacabile avvelenamento.

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