Di questi tempi stare offline è diventato un “lusso” che possono permettersi in pochi. Un lusso sicuramente maggiore dell’ultimissimo modello di smartphone o di qualsiasi device attraverso cui possiamo connetterci con gli altri, sentirci cittadini del mondo, riuscire a essere in ogni dove pur non possedendo il dono dell’ubiquità. Un “esserci”, quello digitale, che ci rende presenti ovunque e a tutti, spesso, però, meno che a noi stessi e a chi ci sta accanto fisicamente.
Phubbing e FOMO, le patologie da iperconnessione
È il paradosso dell’esclusione sociale dell’iperconnessione o, per dirla con un neologismo, del phubbing (dalla combinazione dei termini inglesi phone e snubbing: telefono e snobbare), quel fenomeno che più o meno involontariamente ci porta a ignorare gli altri quando siamo troppo presi dal controllo del cellulare. Un atteggiamento compulsivo che secondo le conclusioni di uno studio pubblicato di recente sul Journal of the Association for consume research porta chi subisce certi comportamenti a rifugiarsi online a sua volta nella speranza di riconquistare sui social network quel senso di inclusione e di consenso sociale che gli altri hanno negato. Un cane che si morde la coda, insomma.
Affiorano nuovi disturbi e si definiscono patologici quei comportamenti che ci rendono ossessionati dalle comunicazioni. Come la paura di sentirci tagliati fuori (FOMO, acronimo di "Fear Of Missing Out") e la preoccupazione che altrove da noi gli altri stiano facendo qualcosa per cui varrebbe la pena esserci o andare a controllare.
Patologie da iperconessione che, come rilevato da uno studio curato dall’Osservatorio nazionale adolescenza condotto su un campione di 8.000 ragazzi tra gli 11 e i 19 anni d’età di 18 regioni italiane, riguardano una porzione sempre più ampia e più giovane di popolazione.
Curare il tecnostress grazie alla tecnologia
La malattia del nostro secolo si chiama tecnostress, quella che ci costringe a subire gli effetti della tecnologia e a non riuscire a staccare la spina, nel senso letterale del termine, pur addebitando proprio a computer e telefonini la causa di buona parte del nostro malessere che ci fa vivere in un perenne stato di tensione e a soffrire, tra l’altro, di mal di testa, ipertensione e insonnia.
Ma uscire dalla trappola dell’apprensione è possibile, proprio grazie alla tecnologia che può, nel caso, affiancarsi alle cure mediche.
Può sembrare strano eppure è merito di quelle applicazioni per la mindfullness che insegnano le tecniche di meditazione e di respirazione, suggeriscono uno stile di vita sano, gli esercizi, la musica e perfino le immagini da visualizzare per alleviare le preoccupazioni, ritrovare se stessi e recuperare il benessere psicofisico perso.
Eccone alcune.
Headspace (IOs, Android) è una sorta di personal trainer per la mente, una guida alla meditazione che attraverso esercizi e consigli pratici si propone di aiutare a gestire le tensioni emotive per vivere una vita più sana e felice.
Pacifica (iOS, Android) è un’app per imparare a gestire lo stress e a vivere più serenamente.
Basata sulla terapia cognitivo-comportamentale e sulla meditazione, l’applicazione è uno strumento di utilizzo quotidiano, che aiuta le persone ad affrontare le situazioni stressanti e l'ansia confrontandosi con una community di supporto.
Nel day-by-day consente di tenere traccia dei propri comportamenti e di valutare i progressi.
Pacifica è raccomandata anche per i medici in supporto alla pratica clinica per la gestione dei pazienti durante sessioni di teleterapia, per l'invio di promemoria e il monitoraggio dei risultati.
Lo riporta mobihealthnews.com: Welltory (iOS, Android), una startup di New York è al lavoro per il lancio della versione successiva del suo software che promette di aiutare le persone a ridurre lo stress e ad aumentare la produttività. Il quantified self stress traсker, come viene definito, è una all in one app che utilizza la fotocamera dello smartphone per misurare la frequenza cardiaca e quantificare i livelli di energia e di stress in base all’Heart Rate Variability, l’algoritmo che tiene conto delle variazioni nel tempo dei battiti cardiaci. Welltory è compatibile con 50 gadget e applicazioni fitness di cui è possibile collegare i dati per tracciare il ciclo del sonno, l’alimentazione, l’attività fisica e la produttività.
Alle app si aggiungono anche i wearable devices alla cui funzione primaria di tracciamento si associa l’appagamento dell’indossare un accessorio dal design stiloso. Come Spire, il tracker di pietra liscia da indossare a contatto con la pelle per riconnettersi con il proprio corpo.
Avvalendosi dei risultati di sette anni di ricerche del Calming Technology Lab della Stanford University, si legge sul sito, Spire, rileva il ritmo della respirazione ed è in grado di determinare il livello di stress raggiunto nel corso della giornata. L’applicazione è collegabile al calendario, alla posizione e alle foto del proprio cellulare e aiuta a scoprire le situazioni di maggiore stress rilevate dal cambiamento del respiro. E quando Spire nota una certa tensione aiuta a recuperare la calma suggerendo esercizi di respirazione.
Ironia della sorte? No. Solo la possibilità di conoscere un utilizzo ulteriore degli strumenti digitali e riflettere sull’opportunità di comportamenti più consoni connessi a smartphone, tablet e pc. Se proprio non riusciamo a farne a meno in nessuna occasione…